Le parole dei samurai - Episodio 13
Contro un nemico forte: l’orgoglio di combattere
Nel precedente episodio della nostra rubrica, abbiamo celebrato il lato più nobile e idealista di Uesugi Kenshin: il daimyō che inviava sale al nemico per senso di giustizia, l’uomo che incarnava il principio del “giusto oltre la forza”.
Ma come avevamo anticipato, la storia non si nutre solo di ideali. Kenshin, come ogni figura realmente vissuta, aveva molteplici sfaccettature – alcune luminose, altre più controverse. In questo nuovo appuntamento, torniamo a parlare del “Drago di Echigo” per raccontarne un aspetto meno noto e più umano, attraverso le parole affilate e dissacranti dello scrittore Sakaguchi Ango.
Con il suo stile pungente, Ango ci invita a riconsiderare ciò che chiamiamo “onore”, suggerendo che dietro lo stendardo della giustizia possa celarsi, talvolta, un puro piacere per la guerra. È una prospettiva scomoda, ma necessaria, che ci offre l’occasione per riflettere non solo su Kenshin, ma su tutti coloro che hanno fatto della guerra una vocazione.
Il pensiero di Uesugi Kagekatsu, erede spirituale di Uesugi Kenshin
Lo scrittore Sakaguchi Ango (1906-1955), nel suo romanzo "Un uomo di seconda categoria", descrive la Tigre di Echigo, Uesugi Kenshin, affermando: “Va dicendo in giro di combattere per la giustizia e per l’imperatore, ma è tutto falso. In realtà, gli piace semplicemente combattere ‘perché si sente bene’.”
Chiama Kenshin e il suo discepolo Uesugi Kagekatsu “la fazione decadente della guerra”, ossia coloro che si divertono a combattere facendo della giustizia un pretesto.
Questo giudizio non è ben visto dai fan di Kenshin. Tuttavia, pare che questo lato fosse effettivamente presente nella famiglia Uesugi, come dimostra un episodio tramandato dal suo successore, Uesugi Kagekatsu.
Quando le truppe di Kagekatsu assediarono il castello di Shibata Shigeie, un ribelle all’interno dei suoi domini, un suo subordinato catturò alcuni soldati nemici e riferì: “Questi stavano tentando di portare rifornimenti all’interno del castello.”
Kagekatsu rispose:
“Sbarazzarsi di loro sarebbe facile, ma sarebbe infantile. Risparmiate loro la vita, date loro i viveri e lasciateli entrare nel castello. È solo schiacciando un avversario forte che si prova una vera soddisfazione.”
Come Kenshin anche Kagekatsu sembrava provare un certo piacere nella guerra.
Tuttavia, si narra che quei soldati nemici, una volta rientrati nel castello, furono sospettati dai loro stessi compagni di essere spie mandate da Kagekatsu e alla fine furono uccisi.
Le parole di Uesugi Kagekatsu, erede spirituale di Uesugi Kenshin, ci rivelano un aspetto meno celebrato ma profondamente autentico dello spirito samurai: il desiderio di confrontarsi con un nemico degno, capace di rendere la vittoria veramente significativa. In queste parole non c’è crudeltà, ma orgoglio, coraggio e una volontà incrollabile di affrontare la guerra non per crudeltà, ma per principio.
Ancora una volta, la voce dei samurai ci invita a guardare oltre le semplificazioni eroiche e a comprendere la complessità morale di chi ha vissuto in un tempo in cui l’onore non era un concetto astratto, ma una scelta quotidiana.

Comments